Si è svolto, il 26 giugno 2019, presso la Direzione Generale per il Personale Scolastico – alla presenza del Capo Dipartimento, dott.ssa Carmela Palumbo, e del Direttore Centrale dell’INPS, dott. Luca Sabatini, – l’atteso incontro sulle cessazioni dal servizio del personale scolastico.
In apertura l’Amministrazione ha fornito i dati dell’INPS sulle domande di pensionamento di cui alla prima platea (domande presentate entro il 12 dicembre 2018) ed alla seconda platea (domande presentate entro il 28 febbraio 2019). Alla data del 24 giugno la percentuale delle domande di pensionamento già certificate è del 99,12% per la prima platea e del 79,77% per la seconda platea.
L’Amministrazione ha poi reso noto che presumibilmente tutte le certificazioni si completeranno entro la metà del mese di agosto, salvo poche eccezioni.
In merito alla richiesta avanzata dallo Snals di risolvere tutte quelle criticità legate a soggetti che, privi dei requisiti di cui alla legge Fornero, possano, però, ora per allora, essere comunque inseriti, avendone i requisiti, tra gli aventi diritto a pensione di cui alla seconda platea, l’Amministrazione si è impegnata a risolvere solo quei casi di coloro che si son visti respinta la domanda di pensionamento di cui al sistema Fornero, non possedendone i requisiti, ma abbiano presentato, entro il 28 febbraio 2019, in modalità cartacea la domanda di pensionamento di cui al sistema quota 100 al di fuori della procedura polis.
Le OO.SS. si incontreranno nuovamente con l’INPS e con il MIUR il prossimo 20 luglio per un’ulteriore valutazione dell’intera procedura e per fare il punto della situazione.
Inseriamo in area riservata il prospetto dell’INPS sulle certificazioni del diritto a pensione del personale della scuola per il 2019.

  24 Giu 2019 – 17:38 – Vincenzo Brancatisano

 

Regionalizzazione, Serafini (SNALS): no a frazionamento Italia con alcune regioni privilegiate

di Vincenzo Brancatisano

Il progetto di regionalizzazione della scuola va fermato. Se passasse ci sarebbero gravi ricadute sul piano didattico e su quello contrattuale.

E’ questa la preoccupazione di Elvira Serafini, segretaria generale dello Snals, di fronte all’idea sempre più concreta che il progetto di autonomia regionale differenziata previsto dal contratto di governo possa diventare legge, almeno nelle tre regioni che hanno firmato l’intesa con il governo: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

“Sul tema dell’autonomia differenziata – precisa Serafini – abbiamo criticato il metodo e il merito con cui questa importante questione è stata finora affrontata. Ma nell’Intesa del 24 aprile scorso che il Governo ha sottoscritto con le organizzazioni sindacali rappresentative c’è uno specifico punto che fa riferimento alla scuola del Paese. L’impegno congiunto è stato quello di mantenere l’unitarietà del sistema di istruzione, lo stato giuridico degli insegnanti, i curricoli scolastici e la regolazione del rapporto di lavoro con la contrattazione a livello nazionale.

Ci aspettiamo che il Governo tenga fede agli impegni assunti. Il problema principale non è l’autonomia differenziata in sé, ma le differenze che esistono sul territorio nazionale in termini di efficacia formativa e di efficienza del servizio scolastico e di tutti quei servizi che altri soggetti istituzionali devono mettere in campo per i bambini e i ragazzi di tutte le scuole del Paese”.

Elvira Serafini, voi vi opponete da tempo a questo progetto

“Lo Snals sin dal 27 ottobre 2018 fece partire una petizione su questa questione, aperta non solo al mondo dell’istruzione, dove abbiamo raccolto le firme di sindaci e associazioni, di famiglie, raggiungendo un numero altissimo di adesioni, era una petizione a largo respiro per dire no a questo progetto. Ci teniamo a sottolineare che non vogliamo entrare nel merito degli altri settori dell’autonomia differenziata ma ci opponiamo alla separazione nel mondo della scuola per aree geografiche”.

Quali sono i motivi della vostra opposizione?

“Non è possibile frazionare l’Italia privilegiando alcune regioni e lasciando in una situazione di stallo e di solitudine altre. Tutti hanno lo stesso diritto di fare scuola allo stesso modo. L’Istruzione è un punto fermo per tenere l’itala unita. E’ impensabile che le opportunità che si hanno in Veneto siano diverse per programmi e opportunità offerte ai giovani che seguono l’istruzione in Puglia. Non è possibile che questo avvenga. L’istruzione è il midollo del Paese Tutti devono avere le stesse opportunità: non solo le famiglie ma anche i lavoratori. Tutti i lavoratori della scuola devono ricevere la stessa retribuzione, avere gli stessi programmi, sottoporsi allo stesso ordinamento. Gli stipendi devono essere uguali per tutti. Non è pensabile creare situazioni diverse e con contratti diversi. Bisogna mantenere la centralità del Miur sulla scuola e invece con la regionalizzazione ogni istituzione scolastica regionale dovrebbe rispondere al consiglio regionale e alla politica locale. Ci vuole un cambiamento nel migliorare e nel potenziare l’istruzione italiana, non certo frazionandola e dividendola. Dobbiamo scongiurare in ogni modo il  pericolo di un  sistema d’istruzione frammentato, che avrebbe come prima e grave conseguenza l’aumento delle disuguaglianze sociali, mentre mai come in questo momento storico l’Italia ha bisogno di una scuola che sblocchi l’ascensore sociale e riattivi la mobilità generazionale in forte crisi. Invece, corriamo il rischio di aggravare situazioni già critiche come, in particolare, quelle di molte aree del Mezzogiorno”.

A che punto si è arrivati con il progetto?

“Pare che il programma di governo stia prendendo una forza vitale e stia andando avanti. Il timore è che si era arenato in vista delle elezioni europee e ora, chiusa quella parentesi, si comincia a cavalcare l’idea di frazionare, frammentare la scuola e siamo seriamente preoccupati. Tutte le altre forme potrebbero andare, non sta a noi dirlo, ma non l’istruzione, che deve rimanere nazionale. Pensiamo a potenziare il sistema, a uniformarlo e a sostenerlo nelle zone più povere. Questa deve essere l’attenzione della politica: guardare a 360 gradi a tutta la scuola italiana, non certo frazionarla”.

Siete preoccupati per il contratto di lavoro?

“Certo. Il contratto non può essere regionale. Il problema va visto a tutto tondo. Occorre guardarlo nella sua globalità: nella sua ricaduta didattica e metodologica per quanto riguarda gli alunni e le famiglie e sul piano dei contratti e della tenuta del contratto nazionale che non può essere scisso su base regionale o locale. La scuola italiana è una e deve rimanere una e sola”.

Quali sono dal vostro punto di vista gli obiettivi che hanno ispirato il governo in questo percorso?

“L’obiettivo era quello soddisfare i desiderata di alcune Regioni del Nord che chiedevano e chiedono la regionalizzazione della scuola”.

Perché chiedono questo? Ci sono anche motivi di tipo culturale?

“Non si parla di aspetti culturali ma di arrivare ad avere una stabilità dei docenti e dei dirigenti, perché si pensa che lo stipendio del docente sia troppo basso per vivere al Nord . La tenuta stipendiale non è adeguata e molti insegnanti arrivano e poi chiedono il trasferimento. Dando una retribuzione diversa – si parla di 280-300 euro in più – si vuole fare qualcosa per invogliarli a rimanere in quelle zone”.

Il problema del costo della vita in certe regioni è però innegabile

“Ci vogliono risorse per il rinnovo del contratto. Occorre che si trovino trovi risorse per adeguare gli stipendi a quelli dell’Eurozona. Ma per tutte le regioni, non solo per alcune. L’inadeguatezza degli stipendi è un problema che riguarda tutti settori, ma per la scuola siamo quelli peggio pagati in Europa”.

Il ministro Bussetti si è dimostrato più volte sensibile al tema degli stipendi degli insegnanti

“Ci sono stati degli incontri, ce ne vorranno molti altri, siamo in attesa dell’atto di indirizzo e speriamo anche che si arrivi al risultato”.

Ottimista?

“Vista la situazione critica dell’economia, siamo molto dubbiosi sul buon esito di un contratto che abbia delle risorse soddisfacenti per il mondo della scuola”.

Come se ne esce?

“E’ una storia difficile e complessa per poterne uscire”.

Torniamo al progetto di autonomia differenziata. Pensa che alla fine sarà attuata?

“Essendo uno dei punti del programma di governo, ci affidiamo al buon senso dei parlamentari e chiediamo che siano sentite le parti sociali: non è possibile che le parti sociali non vengano ascoltate per una decisione così importante per il Paese. Anche perché tutti i sindacati si sono pronunciati in tal senso e tutti insieme diciamo che l’istruzione non può e non deve essere regionalizzata. Siamo stati ascoltati la notte tra il 23 e il 24 aprile dal premier Conte e dal ministro Bussetti, che furono d’accordo a mettere nell’intesa il punto fermo per quanto riguarda la regionalizzazione. Ora attendiamo di vedere se terranno fede a questo accordo oppure al programma di governo. Ma riteniamo che l’impegno del Governo e del Parlamento per mantenere il carattere unitario e nazionale della scuola italiana debba essere prioritario. E per questo, come sindacato, lavoreremo con determinazione”.

 

 

 

24 Giu 2019 – 15:36 – redazione

Serafini (SNALS) su regionalizzazione: unitarietà scuola non si tocca 

di redazione

“Sul tema dell’autonomia differenziata abbiamo criticato il metodo e il merito con cui questa importante questione è stata finora affrontata”.

Ma nell’Intesa del 24 aprile scorso che il Governo ha sottoscritto con le OO.SS. rappresentative c’è uno specifico punto che fa riferimento alla scuola del Paese.

L’impegno congiunto è stato quello di mantenere l’unitarietà del sistema di istruzione, lo stato giuridico degli insegnanti, i curricoli scolastici e la regolazione del rapporto di lavoro con la contrattazione a livello nazionale. Ci aspettiamo che il Governo tenga fede agli impegni assunti.

E’ dallo scorso anno che lo Snals-Confsal ha preso, per primo tra i sindacati, l’iniziativa di avviare una raccolta di firme sulla questione dell’autonomia differenziata, non solo tra il personale della scuola ma anche presso le famiglie, raggiungendo un numero altissimo di adesioni. Anche sindaci e rappresentanti di istituzioni locali hanno rappresentato la loro adesione alla nostra petizione.

Il problema principale non è l’autonomia differenziata in sé, ma le differenze che esistono sul territorio nazionale in termini di efficacia formativa e di efficienza del servizio scolastico e di tutti quei servizi che altri soggetti istituzionali devono mettere in campo per i bambini e i ragazzi di tutte le scuole del Paese.

Dobbiamo scongiurare in ogni modo il pericolo di un sistema d’istruzione frammentato, che avrebbe come prima e grave conseguenza l’aumento delle disuguaglianze sociali, mentre mai come in questo momento storico l’Italia ha bisogno di una scuola che sblocchi l’ascensore sociale e riattivi la mobilità generazionale in forte crisi. Invece, corriamo il rischio di aggravare situazioni già critiche come, in particolare, quelle di molte aree del Mezzogiorno.

Per tutto questo riteniamo che l’impegno del Governo e del Parlamento per mantenere il carattere unitario e nazionale della scuola italiana debba essere prioritario. E per questo, come sindacato, lavoreremo con determinazione”.

 Coffee break     19 giugno 2019, h.9,40

 

La puntata, incentrata sui temi del lavoro, delle tasse e degli investimenti, ha dedicato un ampio spazio ai problemi della scuola. Ospite insieme alle europarlamentari Irene Tinagli e Susanna Ceccardi, nonché al giornalista Roberto Arditti, Serafini ha diffusamente illustrato l’azione del sindacato in favore di scuola, università, afam e ricerca, soffermandosi in particolare sugli esiti dell’Intesa Governo-Sindacati del 24 aprile scorso e sulla sua valenza politica.

Il Segretario generale ha spiegato i termini dell’accordo per la stabilizzazione dei docenti, sottolineando come il risultato raggiunto per i docenti precari con trentasei mesi di servizio pregresso sia solo il primo passo di un’azione più generale, volta a tutelare le varie tipologie di precariato stratificatosi nella scuola nel corso di decenni.

Ripetutamente coinvolta nella discussione, Serafini ha sottolineato l’impegno del sindacato per riaprire la stagione dei rinnovi contrattuali, con l’obiettivo prioritario di riallineare le retribuzioni del comparto a quelle dell’Eurozona. A questo proposito ha specificato che tra le proposte del sindacato c’è la richiesta di spostare nel tabellario le risorse attualmente destinate a bonus e premialità.

In conclusione di puntata, il Segretario generale ha commentato la classifica della World University Ranking che inserisce ben 34 università italiane nella classifica mondiale dei migliori atenei. A tal proposito Serafini ha osservato come la qualità della scuola e dell’università italiane sia tale da assicurare una formazione di alto livello dei giovani, ma che il sistema Paese necessiti di politiche ed investimenti adeguati nei settori produttivi, per ridurre il fenomeno della fuga dei cervelli.

La puntata integrale di Coffee Break è visibile al link:
http://www.la7.it/coffee-break/rivedila7/coffee-break-19-06-2019-275201

Gli estratti degli interventi del Segretario generale sono reperibili nel nostro canale youtube:

 

 

L’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia dovendo procedere alle operazioni di attribuzione degli incarichi dirigenziali in scadenza al prossimo 31.8.2019, ha pubblicato la nota n.15553 del 12/06/2019.

Per quanto riguarda l’attuale quadro normativo, la circolare ricorda i vincoli di permanenza nella regione di assunzione per i seguenti vincitori di concorso:

  • art. 16 comma 2 del D.D.G. 13/07/2011 –  “ i vincitori assunti con rapporto a tempo indeterminato e che effettuano il periodo di formazione e tirocinio, sono tenuti a permanere nella regione di assegnazione per un periodo non inferiore a sei anni
  • D.M. 635 del 27/08/2015, attuativo dell’art. 1, comma 92, della l. n. 107/2015 – “i destinatari di incarico a tempo indeterminato a seguito della
    procedura di cui al presente decreto, sono obbligati a permanere nella regione assegnata per almeno un
    triennio”

Il conferimento degli incarichi dirigenziali è effettuata nell’ordine previsto dall’art. 11 comma 5 del C.C.N.L. – Area V – sottoscritto in data 11/04/2006:

a) Conferma dell’incarico nella attuale sede riguarda i dirigenti scolastici i cui contratti scadono il 31 agosto 2019.

b) Mutamento dell’incarico a seguito di ristrutturazione, riorganizzazione o sottodimensionamento dell’ufficio dirigenziale.

c) Conferimento di nuovo incarico (alla scadenza del contratto) e assegnazione degli incarichi per i dirigenti scolastici che rientrano dal collocamento fuori ruolo, comando o utilizzazione, ivi compresi gli incarichi sindacali e quelli all’estero.

d) Il mutamento di incarico in pendenza di contratto su posti liberi è ammesso eccezionalmente nei casi di particolare urgenza e di esigenze familiari.

e) Mutamento di incarico in casi eccezionali (art.9, comma 2 del CCNL del 2010).

f) Mobilità interregionale (art. 9, comma 4, C.C.N.L. 15/07/2010)

La circolare mette in evidenza, inoltre, il dovere di presentare domanda di mobilità per i dirigenti scolastici con scadenza di contratto al 31 agosto 2019 e con una permanenza nell’attuale sede di durata pari o superiore a quattro incarichi. Fanno eccezione i casi in cui è prevista la risoluzione del rapporto di lavoro per raggiunto limite massimo d’età o per limite ordinamentale (secondo le vigenti disposizioni in materia) entro il 1° settembre 2021.

Allegati:

1) USRPuglia_nota_15553_del_12-06-2019

2) Sedi disponibili D.S. a.s. 2019-20

È stato approvato un emendamento bi–partisan (recante le firme dei Parlamentari della Lega, dei 5 stelle, del PD e di Forza Italia) al decreto sblocca cantieri che prevede l’impegno di spesa di 25 milioni di euro per installare telecamere permanenti in tutte le aule delle scuole dell’infanzia.

Ci sia subito consentito di osservare che trattasi del solito pasticcio legislativo all’italiana: inserire un emendamento del genere in un articolato di legge che tratta tutt’altro tema e senza nemmeno il parere delle Commissioni che si occupano di Istruzione.

Ma al di là dell’aspetto formale, ci sembra completamente fuori luogo, degno magari di uno Stato di Polizia, questo provvedimento che dovrebbe combattere i, per fortuna rarissimi, casi di maltrattamento ai bambini, creando una specie di “grande fratello” per sorvegliare la vita quotidiana delle scuole, i rapporti tra Docenti e bambini e tra gli stessi bambini.

A questi ultimi, purtroppo, già dalla più tenera età, viene così trasmesso un senso non di fiducia e di partecipazione alla vita della scuola, bensì di timore dell’adulto, di insicurezza e di paura.

Per evitare certi episodi che si sono verificati, assolutamente riprovevoli e che meritano sanzioni esemplari, si instaura un controllo sistematico con immagini che verranno conservate e che potranno essere giudicate, selezionate ed utilizzate per quali fini non è detto.

Quale sarà l’impatto sulla tranquillità dei bambini, che entreranno in una scuola non più luogo di piacevole socializzazione e di apprendimento di corretti comportamenti, bensì in un ambiente video sorvegliato in cui qualsiasi cosa fatta o detta venga conservata come elemento di altrui giudizio?

Ci sembra, inoltre, una colossale mancanza di fiducia verso la classe docente di questo settore scolastico, che tante innovazioni ha portato avanti in questi anni (tanto che, anche nominalmente, si è passati dalla denominazione “asilo” a quella di “scuola”) per rendere la scuola dell’infanzia sempre più rispondente alle esigenze di un’educazione e di un’istruzione precoci per i nostri bimbi. Mancanza di fiducia che può creare ansia nelle famiglie al pensiero di lasciare i propri figli in un ambiente che il Parlamento ritiene potenzialmente pericoloso per loro.

È questo, soprattutto, che il Sindacato non può accettare: la rappresentazione di una scuola dove serve la polizia per evitare incidenti e dove, anche di fronte alle famiglie, la professionalità e l’autorevolezza dei Docenti viene sminuita in maniera pericolosa.

Fra l’altro, ci verrebbe da chiedere se non sia il caso di installare telecamere anche nelle scuole Superiori dove, più volte, i Docenti sono stati oggetto di vessazioni da parte degli alunni!

E allora la conclusione è che le telecamere non servono: occorre un rapporto leale tra Docenti, genitori e studenti per creare le condizioni di una vera crescita culturale e di un’azione educativa sempre più indispensabile nella moderna società.

Bisogna che all’interno delle scuole la Comunità Educante rifletta attentamente sempre sulle azioni da intraprendere per migliorare il nostro sistema scolastico. Di questo c’è bisogno, non di immagini registrate.

A meno che l’intento di fondo sia quello di limitare il libero sviluppo dei bambini e tenere a bada la libertà di insegnamento??? Caso Palermo insegna???

Lo Snals-Confsal insieme alle altre Organizzazioni sindacali si batterà affinché non passi lo Stato di Polizia nella Scuola e, in ogni caso, affinché sia data la facoltà alla scuola di gestire il sistema con pienezza di responsabilità.

È evidente che, se e laddove, ci fossero abusi questi dovrebbero essere sanzionati con severità indiscutibile.

Sintesi

Proposta unitaria presentata al tavolo tematico

sul reclutamento del personale scolastico

 

I posti disponibili per il concorso della scuola secondaria saranno circa 48.500 e, secondo la nostra proposta, andranno così suddivisi:

  • 24.250 (50%) a docenti con i requisiti ordinari (abilitati, laurea + 24 cfu, etc.)
  • 24.250 ai precari con 3 annualità (50%)

 

Gli obiettivi della proposta:

permettere a tutti i docenti che hanno i requisiti delle 3 annualità (circa 55.000) di abilitarsi, consentendo a coloro che si trovano in posizione utile rispetto ai 24.250 posti di trasformare il proprio contratto, attraverso la fase transitoria, da tempo determinato a tempo indeterminato.

I candidati potranno scegliere liberamente e con consapevolezza per quale regione concorrere ai fini della stabilizzazione.

La procedura è finalizzata alla copertura dei posti e coloro che non rientrano nel contingente che accede alla stabilizzazione si abilitano con i PAS e potranno inserirsi nelle graduatorie d’istituto di seconda fascia. La fase transitoria non è finalizzata a determinare graduatorie permanenti o ad esaurimento, essendo una procedura speciale e una tantum.

Gli aspiranti partecipano alla fase transitoria con la seguente modalità:

  • Presentazione della domanda in una sola regione;
  • Accesso selettivo per soli titoli (laurea) e servizi finalizzato alla copertura di tutti i posti disponibili all’interno della regione;
  • I candidati che rientrano nel contingente accedono al PAS in quella regione e contestualmente lavorano su un posto disponibile fino al 31 agosto. Se la valutazione di merito finale del percorso abilitante è positiva, si procede all’immissione in ruolo con anno di prova;
  • Coloro che non rientrano nel contingente svolgeranno il PAS nella regione/provincia nella quale sono inseriti nelle graduatorie di istituto.

Il PAS sarà organizzato dalle Università in collaborazione con le scuole.

Per essere efficace, la fase transitoria deve partire dal 1° settembre 2019 e le graduatorie devono pertanto essere pronte entro il 31 luglio 2019.

Requisiti di accesso

Il servizio deve essere stato prestato per almeno 180 gg. per anno scolasticovale anche il servizio prestato nell’anno scolastico 2018/19.

Si può partecipare se almeno una delle annualità è stata svolta sulla classe di concorso per la quale si intende concorrere.

La procedura si svolge anche per il sostegno e vi può accedere chi ha prestato almeno un anno di servizio su tale tipologia di posto.

PUNTI DI ATTENZIONE

Possibilità di ampliare i PAS (ai soli fini abilitativi) anche ai docenti già di ruolo, in subordine rispetto ai precari.

La sequenza delle immissioni in ruolo (GM 2016, GMRE 2018, concorso straordinario e ordinario) può prevedere una ciclicità (ripescaggio) fino ad esaurimento dei posti disponibili

ASSISTENTI AMMINISTRATIVI FACENTI FUNZIONI DI DSGA

La nostra proposta prevede

– L’indizione di un percorso riservato (e/o mobilità professionale)

– L’eliminazione della prova pre-selettiva per i facenti funzione che partecipano al concorso ordinario

Per la valorizzazione professionale del restante personale Ata – mobilità professionale e posizioni economiche – è stato richiesto un tavolo specifico.

 

Roma, 30 maggio 2019

Nell’intervento del Segretario Generale SNALS: precari dei 36mesi, precari idonei dei concorsi 2016 e 2018 -PAS e FIT- i docenti di ruolo “ingabbiati”, gli assistenti amministrativi f.f. di Dsga

      Zapping Radio 1

Puntata del 28/05/2019

Seconda parte: Sanatoria dei precari della scuola

Riportiamo il link per ascoltare la puntata di Zapping, andata in onda su Rai Radio 1 del 28/05/2019, in cui, nella seconda parte si è parlato della sanatoria dei precari della scuola. Per questa parte sono intervenuti il Segretario generale dello SNALS-Confsal, Elvira Serafini, e Marco Campione, esperto di politiche pubbliche per l’istruzione.

 

 

La sintesi dell’intervento del Segretario generale SNALS-Confsal, Elvira Serafini:

“Lo SNALS-Confsal ha accolto con entusiasmo e quasi con sorpresa la notizia del recepimento da parte del MIUR delle indicazioni sindacali in merito al reclutamento e al precariato, dopo l’incontro a Palazzo Chigi e l’attivazione dei due tavoli tecnici sul rinnovo contrattuale e sul precariato.

Con il premier Conte e con il Ministro Bussetti si era giunti a degli accordi di livello generale, non specifici; poi nel tavolo tematico siamo entrati nel dettaglio e il Capo di gabinetto del Ministro, il Consigliere Chiné aveva dato assicurazioni su una riflessione del Miur sulla proposta dei sindacati e si è raggiunto l’accordo sui docenti precari con 36 mesi di servizio prestato.

Con l’apertura del Miur alla proposta sindacale potranno essere immessi in ruolo 55 000 precari. La nostra proposta sindacale parte dallo “svuotamento” della scuola: ci siamo posti il problema di dover ripartire il 1° di settembre con il 65% di precari. Queste persone portano avanti da anni con dignità, professionalità e serietà il loro lavoro e non è possibile non riconoscerglielo.

Lo SNALS da sempre ha portato proposte serie e in questo caso abbiamo chiesto di considerare tutti coloro che hanno maturato i 36 mesi senza l’abilitazione, offrendo un percorso agevolato con i PAS non con una prova preselettiva, ma con una prova alla fine del percorso. Sia ben chiaro che questo percorso assicura la qualità della formazione del personale immesso in ruolo. Piuttosto è strano che la società non abbia sollevato problemi sulla qualità dell’insegnamento, quando questo personale è stato costretto a insegnare come precario in assenza di concorsi per decenni.

Ora ci dobbiamo occupare anche di altre situazioni di precariato in attesa: per esempio, i vincitori e gli idonei dei concorsi 2016 e 2018, il personale che ha svolto il percorso FIT, il precariato del personale ATA, come gli assistenti amministrativi facenti funzioni di Dsga. La nostra richiesta di attenzione al Ministro non è stata solo verso i docenti precari con 36 mesi di servizio prestato. E’ tempo di intervenire perché il problema del precariato è stato lasciato incancrenire per troppo tempo”.

 

Vito Masciale

Intervento del Prof. Vito Masciale, Consigliere Nazionale SNALS nonché Segretario Provinciale di Bari, nell’ambito della Tavola Rotonda, “La scuola tra criticità di sistema e disagi professionali del personale”, tenutasi a Treviso il 16 maggio 2019.

Questa riflessione è sorta negli ultimi mesi, nel momento di maggior tensione fra governo e sindacati, quando lo sciopero generale sembrava ormai ineluttabile.  Esso è stato poi revocato, ma il confronto continua.

A proposito degli stipendi il Governo si è impegnato a garantire nel triennio il recupero graduale del potere d’acquisto delle retribuzioni del personale scolastico e, contestualmente, ad avviare un percorso per un graduale avvicinamento alla media dei livelli salariali di altri Paesi europei.

Prendendo a confronto la posizione stipendiale media di carriera (15 anni), il gap percentuale tra la retribuzione di un docente italiano rispetto a quello medio dei colleghi europei oscilla tra il 18,2% dei docenti dell’infanzia e il 29,4% dei docenti della primaria, mentre per i professori di scuola media è del 24,3% e per quelli delle superiori del 26,7%.

Si è parlato, anche, di “chiara e condivisa considerazione del ruolo assegnato alla scuola per garantire identità e unità culturale del Paese, anche attraverso l’unitarietà dello stato giuridico del personale, il valore nazionale dei contratti, un sistema nazionale di reclutamento del personale e le regole per il governo delle scuole autonome”.

 

Passo ora al tema del nostro incontro.

Per far fronte alla situazione attuale occorrerebbe un piano strategico per il rilancio della scuola pensato su un orizzonte di almeno 10 anni e condiviso dalle principali forze politiche e sociali. Principale obiettivo il successo formativo di tutti gli studenti, da ottenere attraverso una drastica personalizzazione degli itinerari formativi individuali.

Bisogna riportare la scuola al centro del dibattito pubblico, come un ambito su cui investire e non solo effettuare tagli di spese improduttive. È importante aver chiaro che, come già accade nei principali Paesi Ocse, gli investimenti nel campo dell’educazione, formazione, ricerca e innovazione rappresentano la leva strategica per uscire dalla crisi e rilanciare lo sviluppo.

Nello scenario attuale, serve una vision della scuola come comunità educante coesa ed eticamente responsabile, dove il dirigente non è semplicemente un manager, ma un leader educativo capace di attivare processi innovativi, governare con il consenso e incrementare le motivazioni del personale e degli stessi studenti, la condizione necessaria per poter migliorare i risultati della singola scuola e del sistema educativo più in generale.

In questa prospettiva, occorre ridefinire un “Patto per lo sviluppo educativo” che coinvolga tutti gli attori e accompagnare il processo di riforma con un consistente programma di formazione rivolto a dirigenti scolastici, docenti, studenti e genitori, in modo tale da “creare le condizioni” culturali e professionali per l’effettiva implementazione di quanto indicato nelle norme legislative.

Inoltre, per rilanciare una nuova mission della scuola in Italia, si dovrebbero recuperare due questioni strategiche: il grave fenomeno della dispersione scolastica e l’elaborazione di una seria politica di orientamento scolastico, formativo e al lavoro permanente, che sia in grado di coinvolgere tutti gli attori interessati (personale della scuola, imprese, istituzioni) in modo consapevole e responsabile far dialogare il mondo della scuola e quello del lavoro e delle professioni.

Sono numerosi i problemi che la scuola italiana deve affrontare. Per quanto riguarda i ragazzi e la preparazione al lavoro, va sottolineato come il 20% dei giovani (il doppio che in Europa) non ha il diploma della scuola secondaria superiore, non studia, non lavora, non cerca lavoro), mentre percentuale di quelli disoccupati è del 38% (ancora una volta il doppio che in Europa).

Anche dal punto di vista della preparazione alla vita da cittadini le percentuali sono allarmanti: l’Italia ha il 14% di abbandoni precoci, mentre il 50% dei giovani è attore o vittima di bullismo, il 66% non ha trattato a scuola temi di educazione civica, il 75% non conosce la Costituzione.

Quanto alle “competenze funzionali” degli adulti (16-65 anni) secondo l’indagine OCSE–PIAAC il livello di “analfabetismo funzionale” in Italia è del 30% della popolazione (15 % nella UE), mentre il livello di “competenze adeguate o elevate” è solo del 30% (65% nella UE).

Ci sono peraltro “due Italie”, una vicina al Nord Europa e l’altra lontanissima.

Per rimediare a questa situazione drammatica è necessario puntare sul successo formativo di tutti gli studenti (recuperando il 20% che si perde). Ciò si può ottenere solo differenziando l’offerta formativa attraverso una radicale personalizzazione.

Per compensare gli squilibri di educabilità derivanti dal contesto socioeconomico la proposta può essere la scolarizzazione precoce e a tempo pieno: tutti a scuola obbligatoriamente dai 3 ai 14 anni, fino alla fine della scuola media, con un’attività di orientamento sin da questo ordine di scuola molto più efficace.

Per gli studenti della scuola secondaria superiore va valutata la possibilità di dedicare nel pomeriggio 30 ore per attività formative liberamente scelte dagli studenti (sport, volontariato, educazione delle emozioni), ma valutabili. Serve una forte integrazione tra i diversi momenti di attività curricolari, senza la quale il “tempo lungo” non produce effetti positivi.

Riformare la struttura e la finalità della scuola in modo da garantire il successo formativo di tutti gli studenti, senza scarti: il 20% di fallimenti scolastici costituisce una vera e propria bomba sociale e politica. Se questo problema non sarà risolto ci saranno rischi non solo per la coesione sociale ma anche per la stessa democrazia.

Per questo serve un impegno pubblico in materia di scuola, la nostra Costituzione affianca al diritto universale all’istruzione (e al corrispondente dovere della Repubblica di “rimuovere gli ostacoli” che lo impediscono) il diritto delle famiglie a scegliere il modello educativo per i propri figli. Ma è possibile oggi che la scuola, si preoccupi solo dei “capaci e meritevoli”, come dice la Costituzione? La vera rivoluzione, oggi, è quella della scuola generalizzata e del successo per tutti.

Ma ciascuno a suo modo, “perché non siamo tutti uguali” per tempi e stili di apprendimento.

Fermo restando l’impegno individuale nello studio, i percorsi vanno resi flessibili partendo dalle attitudini e potenzialità dei singoli studenti

 

Quanto ai docenti, determinante è la qualità degli insegnanti: formati meglio e pagati meglio.

La scuola italiana non ha il tempo per poter aspettare una nuova generazione di docenti formati, in futuro, in appositi corsi di laurea finalizzati specificamente all’insegnamento. La formazione serve ora e per tutti (quelli che sono già in cattedra o sono in attesa di una supplenza).

La necessità di un “cambiamento radicale”, individua in un consistente aumento degli stipendi degli insegnanti la misura SIMBOLO di un nuovo e diverso atteggiamento del Paese nei confronti della scuola nazionale e di chi vi opera.

Tuttora la scuola è vista più come centro di spesa e opportunità di occupazione per il personale che come investimento, più che riformare occorre trasformare.

Il “come” si insegna conta infatti spesso più del “che cosa” si insegna.

Occorre puntare su un maggiore protagonismo dei docenti, partire dalle persone, e quindi costruire percorsi di apprendimento personalizzati dando ad esse fiducia e stimolando il dialogo, affinché si eviti la formazione, favorita dalla diffusione dei social, gruppi chiusi nei quali non c’è dialogo ma condivisione unilaterale di convinzioni di parte.

Ma ci deve stare a cuore il benessere dei nostri docenti, perché i soldi aiutano a stare meglio, danno lustro sociale in una società dove tutto si misura in denaro ma da soli non fanno la felicità: bisogna creare un ambiente di lavoro sicuro e sereno.

LA CARRIERA DEGLI INSEGNANTI

Il settore scuola è l’unico settore del servizio pubblico statale senza possibilità di carriera.

Servono figure intermedie per far funzionare un meccanismo complesso come la scuola adeguatamente, personale preparato con funzioni specifiche, strutturate e retribuite in maniera non estemporanea, il vice dirigente, il responsabile della didattica, il responsabile dell’innovazione.

L’accesso alla carriera di Dirigente dovrebbe essere riservato solo a chi ha ricoperto nella scuola ruoli intermedi di gestione e responsabilità.

LA SCUOLA DI QUALITA’

Serve, infine, la valutazione esterna delle scuole da parte di un ente di cui sia garantita l’assoluta indipendenza, quanto all’adesione delle scuole alle innovazioni, è opportuno che essa sia progressiva e volontaria, ma sempre esplicitamente supportata a livello istituzionale.

PATTO EDUCATIVO SCUOLA FAMIGLIA

Fondamentale, comunque, è la ricostruzione del patto educativo tra società, scuola e famiglie.

La materia andrebbe regolamentata perché, se lasciata per intero all’autonomia delle singole scuole potrebbe dar luogo a un aumento, anziché alla riduzione, delle disuguaglianze. Non basta la firma delle famiglie su un documento che le scuole secondarie superiori fino a ieri (dall’anno prossimo sembra ogni ordine di scuola) fanno firmare alle famiglie al momento dell’iscrizione e che poi nella realtà viene disatteso.

Le dimensioni della crisi della nostra scuola, la crisi dell’alleanza educativa tra scuola e famiglia, come mostrano le sempre più numerose aggressioni ai docenti, dipendono anche dall’arretratezza del modello organizzativo, che impedisce di sfruttare razionalmente le enormi potenzialità del nostro sistema educativo  attraverso una rinnovata partecipazione degli studenti e dei genitori alla vita della scuola, attraverso organismi ad hoc, su una serie di questioni cruciali: elaborazione del Piano triennale dell’Offerta formativa; innovazione tecnologica, didattica e metodologica; valutazione dei risultati; coinvolgimento degli attori sociali presenti sul territorio.

Gli organi collegiali sono sterili ed inutili perché obsoleti: a quando la loro riforma?

LE RISORSE

Sul versante della spesa e del rilancio degli investimenti per l’istruzione, è necessario recuperare risorse e rilanciare gli investimenti. In Danimarca si spende circa l’8% del PIL, in Italia solo il 4%. Rapportato al PIL italiano vorrebbe dire incrementare la spesa per l’istruzione di circa 65 miliardi di euro l’anno. Con queste risorse gli insegnanti sarebbero pagati meglio, le scuole sarebbero interamente digitalizzate e piene di laboratori interattivi

– Il decremento demografico  e la conseguente diminuzione della popolazione scolastica, ridurrebbe la spesa Miur di due miliardi di euro in pochi anni. Occorre evitare che tali risorse vengano sottratte alla scuola: reinvestendole si potrebbe rafforzare il tempo pieno/lungo e realizzare una adeguata formazione iniziale e continua dei docenti, in previsione del gigantesco ricambio dei prossimi anni.

Un esempio di cattiva gestione è costituito dai sette miliardi di euro che vengono spesi tra Miur ed Enti locali per il sostegno senza che il servizio funzioni in modo efficace: molte scuole sono inagibili, i docenti cambiano spessissimo.

LA PROPOSTA DI LEGGE SULL’EDUCAZIONE CIVICA 

Qualche cenno merita, infine, la proposta di legge sull’Educazione Civica, approvata dalla Camera il 3 maggio e che ora passa all’esame del Senato. Essa ha esteso alla scuola primaria il ‘Patto di corresponsabilità educativa’ già in vigore nella scuola secondaria. Questo non esclude che possano essere decise sanzioni nei confronti degli alunni, ma solo alla fine di un percorso di confronto e condivisione con le famiglie. Ma che cosa fare quando la famiglia è assente e non vuole assumere alcuna (cor)responsabilità? La punizione (penale) del genitore in aggiunta a quella (scolastica) dello studente. Misure che si collocano entrambe, in modo diverso, al di fuori di ogni logica di condivisione e corresponsabilità educativa. E che non si pongono il problema del recupero sociale di entrambi. È come rassegnarsi all’idea che per una minoranza di ragazzi (e di genitori) non ci sia altro destino che l’emarginazione o la galera. Noi non ci rassegniamo, ma occorre essere consapevoli che per vincere la battaglia dell’inclusione servono una lucida determinazione e robuste dosi di coraggio e di pazienza.

Il voto pressoché unanime (3 astenuti) con il quale la Camera ha approvato la proposta di legge che ridefinisce l’educazione civica nei curricoli della scuola italiana ha ricevuto l’attenzione dei media più per ciò che ha tolto dall’ordinamento che per ciò che ha aggiunto: un impressionante elenco di contenuti e obiettivi dei quali la materia-non materia – o “insegnamento trasversale”, come lo definisce la legge – dovrà  farsi carico.

Il tutto in 33 ore annuali non aggiuntive e “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Così sono tutti soddisfatti: i partiti perché ciascuno di essi si può riconoscere in qualcuno dei contenuti di questa legge omnibus e anche il ministro dell’economia, perché la legge non comporta costi aggiuntivi. Ma l’unanimità, raggiunta in Parlamento, un suo costo ce l’ha: quello di rendere questo insegnamento nello stesso tempo straripante e impalpabile. Un ulteriore problema per le scuole e gli insegnanti che se ne dovranno occupare. Ma ci sono risorse per formare i docenti sulle tematiche? C’è il rischio di una eccessiva indeterminatezza della nozione stessa di Educazione civica, derivante dallo sterminato numero di obiettivi formativi elencati dalla legge, che per la sempre più ampia gamma degli obiettivi ad essa affidati non poteva che essere configurata come un “insegnamento trasversale affidato ad un docente e coordinatore e ai docenti della classe nella loro collegialità”. Ma se è bene che la legge richiami la pluralità degli obiettivi, “ancora più importante” è porre l’accento su quello che va oggi considerato come l’obiettivo prioritario, l’educazione alla cittadinanza digitale, perché “l’avvento di internet, delle reti sociali, dei nuovi mezzi di informazione e comunicazione, ha determinato cambiamenti dirompenti sia sul terreno dei diritti e delle libertà sia sulle forme di partecipazione alla vita democratica. In sintesi, sui contenuti essenziali della nostra Carta costituzionale”.

Serve un piano straordinario di formazione dei docenti” che accompagni una adeguata formazione digitale degli alunni anche in funzione dell’uso corretto di internet.

Dobbiamo agire in fretta”, perché la rivoluzione di Internet influenza le nostre realtà. A noi spetta il compito di coniugare tutto ciò con i valori propri della nostra Costituzione, che rimandano alla partecipazione, alla sussidiarietà e alla democrazia; ma non abbiamo più molto tempo, è questo il tempo. Ora bisogna ripartire: “Chi vuole davvero una cosa troverà una strada, gli altri una scusa”.

Il Consigliere Nazionale SNALS

Prof. Vito Masciale

news

 

 

Riportiamo una scheda sintetica sui permessi elettorali:

 

 

Lavoratori che si recano a votare in un comune diverso da quello ove prestano servizio ·         Non è previsto alcun permesso specifico per recarsi a votare in un comune diverso da quello dellasede di servizio, a meno che il dipendente non risulti trasferito nell’approssimarsi dell’elezione o del referendum e, pur avendo provveduto entro il termine prescritto di 20 giorni a chiedere il trasferimento di residenza, non abbia ottenuto in tempo l’iscrizione nelle liste elettorali nel nuovo comune di servizio.

·         In questo caso i permessi sono retribuiti e sono concessi secondo i seguenti criteri:

·         un giorno per le distanze da 350 a 700 chilometri;

·         due giorni per le distanze oltre i 700 chilometri o per spostamenti da e per le isole.

·         In tutti gli altri casi sussiste il diritto del dipendente a chiedere ed ottenere permessi o ferie per raggiungere il proprio comune di residenza e precisamente:

  • Il personale a tempo indeterminato può usufruire dei permessi retribuiti di cui all’art. 15, comma 2, del CCNL 29.11.2007 (i tre giorni per motivi personali e familiari);
  • il personale docente, se ha esaurito i 3 giorni, può usufruire anche dei 6 giorni di ferie di cui all’art. 13, comma 9.
  • Il personale a tempo determinato può usufruire dei 6 giorni di permesso non retribuito di cui all’art. 19, comma 7, del CCNL 29.11.2007;
  • il personale docente a tempo determinato, se ha esaurito i 6 giorni di permesso, può usufruire anche dei 6 giorni di ferie di cui all’art. 13, comma 9.
Per adempiere alle funzioni di componente il seggio elettorale ·         A tutto il personale a tempo indeterminato o a tempo determinato (anche supplente temporaneo) spettano i giorni occorrenti per le operazioni di voto e di scrutinio.

·         Per i giorni festivi o non lavorativi compresi nel periodo di svolgimento delle operazioni elettorali spettano anche riposi compensativi.

·         Il beneficio spetta a tutti i componenti il seggio elettorale: presidente, scrutatore, segretario, rappresentanti di lista o dei promotori del referendum.

·         Poiché l’attività prestata presso i seggi elettorali è equiparata ad attività lavorativa, il dipendente, nei giorni coincidenti con le operazioni elettorali, è esonerato da eventuali obblighi di servizio anche se collocati in orario diverso da quello di impegno ai seggi (es. in servizio al sabato mattina e impegnato al seggio nel pomeriggio: ha diritto di assentarsi per tutta la giornata di sabato).

·         Secondo l’orientamento della Corte Costituzionale, il lavoratore ha diritto al recupero delle giornate festive o non lavorative, destinate alle operazioni elettorali, nel periodo immediatamente successivo alle stesse.