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È in discussione , per la sua approvazione, alla VII Commissione del Senato, la proposta di legge relativa alla modifica del comma 131 della legge detta” Buona Scuola” in materia di contratti a tempo determinato del personale docente sulla scia di quanto stabilito nel Decreto Dignità.

Eliminare questa clausola che impedisce a chi ha lavorato per tre anni di continuare a lavorare con gli incarichi annuali e che aggira la normativa europea che pone un limite ai contratti a termine è assolutamente la giusta direzione, condivisa ampiamente dallo Snals. Infatti se un contratto è reiterato per più di tre annualità questa è la prova che quel rapporto di lavoro va convertito in un posto a tempo indeterminato.

La norma in oggetto, secondo la ratio del legislatore dell’epoca, non doveva costituire un problema, stante la regolarità dei concorsi e quindi le assunzioni in ruolo che sarebbero avvenute con continuità. Ma la realtà si è rivelata diversa e tale norma, nella sua definizione così come è rischia di lasciare senza lavoro numerosi docenti, con la perdita inevitabile del bagaglio di esperienza maturato negli anni.

La relazione dell’on. Barbaro espone con chiarezza le innumerevoli criticità di tale norma evidenziando la profonda ingiustizia di trattamento in essa contenuta perché costituisce l’esatto contrario di quanto indicato da tempo dall’Unione Europea: i tre anni di servizio a tempo determinato su posto vacante vanno considerati come soglia da valutare per l’assunzione a titolo definitivo e non come blocco da imporre per scongiurare questo diritto.

Come riportato nella relazione, infatti, ai sensi dell’articolo 5, comma 4-bis, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, (attuativo della direttiva 1999/ 70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999), qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato.

Su questi temi sono state discusse petizioni presso il Parlamento europeo e presentato un reclamo al Consiglio d’Europa; di recente è stata assunta la decisione di rivolgersi anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo, proprio per consentire la stabilizzazione di tutto il personale docente scolastico con più di trentasei mesi di servizio svolto. La sentenza della Corte di giustizia europea assume importanza decisiva in quanto certifica che l’Italia ha abusato della reiterazione di contratti a tempo determinato del personale scolastico senza che siano stati previsti meccanismi di tutela dei lavoratori. Va precisato però che i trentasei mesi di servizio su posto vacante e disponibile devono essere stati prestati esclusivamente in una scuola statale; sono escluse le paritarie.

La proposta di legge del DDL 355 contiene due articoli. L’art. 1 si declina in tre commi: 131, 131 bis e 131 ter:

Nel comma 131 viene espressamente stabilito che se i docenti, il personale educativo e ATA hanno lavorato per più di tre anni con contratti a tempo determinato su posti vacanti e disponibili hanno diritto ad essere stabilizzati con un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Al capoverso 131-bis si stabilisce che alla scadenza del terzo anno di servizio, ai docenti, al personale educativo e ATA è attribuita la precedenza per la stipula di contratti a tempo indeterminato, nell’ambito delle graduatorie in cui risultino inseriti.

Il capoverso 131-ter inserisce una clausola di salvaguardia per tutti quegli insegnanti, quel personale educativo e ATA che, allo scadere dei tre anni di servizio, si trovino nell’impossibilità di conseguire la stabilizzazione a causa di carenza di posti.

Viene precisato nel disegno di legge che la norma tutela esclusivamente coloro che hanno maturato i tre anni di servizio su posto vacante e disponibile (destinatari della disposizione recata dall’articolo 5, comma 4-bis, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, attuativo della citata direttiva 1999/70/CE) e non anche coloro che hanno prestato servizio per lo stesso periodo di tempo su posti meramente disponibili (non vacanti nell’organico di diritto, disposto con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, concertato con il Ministro dell’economia e delle finanze e approvato dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri) o in supplenze temporanee. In tali ultime due ipotesi infatti, pur verificandosi di fatto la stessa evenienza («servizio prestato per 36 mesi anche non continuativi»), diversa ne è la causale.

Nel caso dei posti vacanti e disponibili ricorre infatti la fattispecie prevista analiticamente dalla direttiva 1999/70/CE, nel caso dei posti disponibili in via di mero fatto o delle supplenze temporanee su posti di titolari assenti lo strumento del contratto a tempo determinato è invece utilizzato nel modo corretto (sono posti la cui esistenza è limitata all’anno scolastico o a un termine ancora più breve, legato al ritorno in servizio del titolare) e quindi non ricorrono gli estremi della tutela della direttiva europea.

L’abolizione del comma 131, secondo lo Snals è un primo passo: è un provvedimento che deve essere accompagnato da un solido e prolungato piano di assunzioni, misura imprescindibile per dare risposta ai tanti lavoratori docenti, educatori e ATA che da anni, con il proprio lavoro, danno un contributo fondamentale al funzionamento della scuola pubblica.

pensioni

In attesa di conoscere il contenuto reale della riforma preannunciata, le cui notizie ci pervengono dai media, cerchiamo di analizzare le notizie di dominio pubblico circa la proposta di pensionamento. Le possibilità di un prepensionamento in alternativa alla Legge Fornero al momento sembrano essere:

  • Quota 41: anzianità di 41 anni di servizio utile a pensione indipendentemente dall’età anagrafica.
  • Quota 100: età anagrafica minima 62 anni e anzianità minima di servizio 38 anni. La somma deve essere pari o almeno 100.

Quindi gli abbinamenti possibili sarebbero:

38 e 62, 38 e 63, 38 e 64, 38 e 65, 38 e 66

39 e 62, 39 e 63, 39 e 64, 39 e 65 ,39 e 66

40 e 62, 40 e 63, 40 e 64, 40 e 65, 40 e 66

Si parla di una penalizzazione sull’importo pensionistico ancora da definire che sarà legata all’età, ovvero agli anni mancanti per il raggiungimento della pensione di vecchiaia, che per il 2019 e il 2020 è fissata a 67 anni.

Per la definizione della penalizzazione sembra si stia lavorando su due possibilità:

  1. un taglio dell’1% o del 1,5% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni attualmente richiesti che si tradurrebbe per chi va in pensione con 62 anni di età e 38 di contribuzione di un taglio che potrebbe variare dal 5% al 7,5%. (ricorda quanto già proposto dall’allora ministro Cesare Damiano)
  2. una penalizzazione a chi va in pensione con quota 100 o quota 41 consistente nell’applicazione del calcolo contributivo in ogni caso a partire dal 1.1.1996. L’applicazione di questa penalizzazione comporterebbe una penalizzazione intorno al 10%/15% (per la scuola comunque per effetto del lungo blocco dei contratti e quindi della mancata crescita delle retribuzioni il differenziale tra il calcolo retributivo fino al 2011 e il calcolo retributivo fino al 31.12.1995 si è molto ridotto e quindi la penalizzazione ipotizzata del 10%-15% sarà sicuramente inferiore).

Resta comunque da verificare se le suddette penalizzazioni restino applicate per tutta la durata della pensione o una volta raggiunti i 67 anni vengano abolite. Nel 2019 la penalizzazione del calcolo contributivo a partire dal 1.01.1996 riguarderebbe solo chi va in pensione con meno di 42 anni di servizio.

Dal 2021, infatti, tutti i pensionati avranno il calcolo della pensione con il sistema contributivo perché chi aveva 18 anni di anzianità al 31.12.1995, al 31.12.2021 ne avrà 44.